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Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA): conosciamoli meglio insieme

A cura della Dott.ssa Laura Giordano

In Italia sono 3 milioni i giovani che soffrono di disturbi del comportamento alimentare (DCA), un fenomeno spesso sottovalutato sia da chi ne soffre che dai famigliari, e che costituisce una vera e propria epidemia sociale: il 95,9% sono donne, il 4,1% uomini. Soffrire di un DCA, oltre alle conseguenze negative sul piano organico, comporta effetti importanti  sul funzionamento sociale della persona, con gravi penalizzazioni della qualità di vita: ne limita le capacità relazionali, lavorative e sociali, oltre a provocare un’intensa sofferenza psichica, coinvolge anche il corpo, con serie complicanze fisiche. Tuttavia, solo una piccola percentuale di persone che soffrono chiede aiuto. 

Dedicare una giornata-evento, il 15 marzo da oramai ben 10 anni, ai Disturbi del Comportamento Alimentare significa aumentare l’attenzione della popolazione italiana attorno a queste patologie che utilizzano il corpo come mezzo per comunicare un disagio ben più profondo: è quindi fondamentale implementare la corretta informazione intorno ai DCA, per facilitare la comprensione dei meccanismi psico-biologici che favoriscono la malattia e diffondere la consapevolezza che questi disturbi possono essere curati attraverso una rete assistenziale orientata all’individuazione precoce del disturbo, tramite l’attivazione  di percorsi riabilitativi multidisciplinari specializzati.  

DCA: l’importanza della diagnosi

Fondamentali per il successo del trattamento sono, infatti, la diagnosi precoce della malattia ed un intervento tempestivo affidato ad un’equipe di medici specialisti. Un principio generale alla base del trattamento dei disturbi dell’alimentazione, su cui si riscontra un accordo generalizzato, è quello di un approccio multidimensionale, interdisciplinare, pluriprofessionale integrato in cui sono coinvolti diverse figure professionali dell’area sanitaria. La numerosità delle professioni coinvolte (medico psichiatra, medico pediatra quando si tratta di piccoli pazienti, medico internista, medico endocrinologo, medico  dietologo, dietista, psicologo-psicoterapeuta, infermieri, assistenti sociali) e la complessità  del coordinamento sottolineano la necessità di un programma terapeutico che sia il risultato  di un processo condiviso tra tutti gli operatori coinvolti, nelle diverse fasi della cura. 

I disturbi del comportamento alimentare (DCA) o disturbi dell’alimentazione sono patologie caratterizzate da un’alterazione delle abitudini alimentari e/o di comportamenti connessi all’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che  danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale. I comportamenti tipici di un disturbo dell’alimentazione sono:

1. la diminuzione dell’introito di cibo;
2. il digiuno;
3. le crisi bulimiche (ingerire una notevole quantità di cibo in un breve lasso di  tempo);
4. il vomito per controllare il peso;
5. l’uso di farmaci anoressizzanti, lassativi o diuretici allo scopo di controllare il peso;
6. un’intensa attività fisica.

Alcune persone possono ricorrere ad uno o più di questi comportamenti, ma ciò non vuol dire necessariamente che esse soffrano di un disturbo dell’alimentazione. Ci sono infatti dei criteri diagnostici ben precisi  che chiariscono cosa debba intendersi come situazione patologica e cosa invece non lo è. A fornire adeguate e ufficiali linee guida è il manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali, noto come DSM-V, che riconosce i tre principali disturbi  dell’alimentazione quali:  

a. l’anoressia nervosa;  
b. la bulimia nervosa
c. il disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorder – BED). 

Oltre a questi, il DSM-V distingue due gruppi di disturbi dell’alimentazione definiti sottosoglia, ossia di quei disturbi che, pur necessitando di attenzione clinica, non soddisfano i criteri diagnostici per uno dei disturbi dell’alimentazione sopraelencati, che sono i disturbi dell’alimentazione altrimenti specificati e i disturbi dell’alimentazione non altrimenti  specificati

Nella categoria dei primo sono comprese l’anoressia nervosa atipica; la bulimia nervosa a bassa frequenza e/o di durata limitata; il disturbo da binge eating a bassa frequenza e/o di durata limitata; il disturbo da condotta di eliminazione (purging disorder); la sindrome da alimentazione notturna (Night Eating Syndorme – NES).  

Per quanto concerne la seconda categoria, essa include le presentazioni con caratteristiche simili a quelle dei disturbi dell’alimentazione che causano una significativa disfunzione, ma non soddisfano i criteri per i disturbi specifici. Questa categoria trova utilizzo anche nei casi in cui il medico sceglie di non specificare il motivo per cui i criteri non incontrano una vera e propria diagnosi di disturbo dell’alimentazione e include le presentazioni in cui ci sono insufficienti informazioni per provvedere ad una diagnosi più specifica (ad esempio durante una valutazione in Pronto Soccorso).

Infine, ci sono i disturbi della nutrizione (pica, disturbo da ruminazione, disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo), uniti a quelli dell’alimentazione nel DSM-V, ma che colpiscono prevalentemente l’infanzia.  

Parliamo di anoressia nervosa

L’anoressia nervosa fu descritta per la prima volta dal medico inglese R. Morton nel 1694 ed  è stata considerata una malattia rara fino a trent’anni fa. È una patologia estremamente complessa con risvolti di tipo sia fisico che psicologico. Nasce dall’interazione complicata e quasi sconosciuta tra genetica individuale e fattori ambientali, i quali rivestono in realtà un ruolo secondario rispetto al carico genetico.

Il 90-95% delle persone colpite appartiene al sesso femminile e i maschi costituiscono una minoranza, nonostante si sia passati da un rapporto tra maschi e femmine da 1:10 a 1:3 L’età d’esordio è compresa nella maggior parte dei casi tra i 12 e i 25 anni, con un doppio picco di maggior frequenza a 14 e 18 anni.

L’anoressia nervosa nei casi tipici inizia nell’adolescenza ed è tipica di alcune categorie occupazionali (ballerina, modella), sebbene non si possa ad oggi affermare con esattezza se sia proprio la tipologia di lavoro a favorirne lo sviluppo o se, piuttosto, non avvenga che le ragazze a rischio di sviluppare questo disturbo siano particolarmente attratte da professioni che vanno ad enfatizzare la magrezza del corpo. Un falso mito correlato all’anoressia nervosa è l’attitudine maggiore allo studio di questi soggetti: non è stata  confermata la convinzione che i soggetti affetti da anoressia abbiano un quoziente intellettivo superiore agli altri.  

L’anoressia nervosa inizia solitamente con una marcata perdita ponderale e il raggiungimento di un peso corporeo molto basso, perseguita da una dieta ferrea e molto ipocalorica; alcune persone inoltre, per perdere peso, eseguono anche un’attività fisica eccessiva e compulsiva. Altre si inducono il vomito o usano altre forme non salutari di controllo del peso, quali l’uso inappropriato di lassativi e/o diuretici. In alcuni adolescenti il disturbo è breve e guarisce senza alcuna cura o con un trattamento di breve durata, ma spesso persiste e richiede trattamenti specialistici complessi. Lo sviluppo di comportamenti di abbuffata è frequente e circa la metà delle persone migra verso una diagnosi di bulimia nervosa. Sintomi comuni che peggiorano con la perdita di peso e spesso scompaiono con la  normalizzazione ponderale sono: la depressione, il deficit di concentrazione, la perdita dell’interesse sessuale, l’ossessività e l’isolamento sociale. Il 10-20% delle persone con anoressia nervosa sviluppa una condizione che persiste per l’intera vita: in tali casi vengono danneggiati gravemente il funzionamento interpersonale e la carriera scolastica e/o  lavorativa. Il tasso grezzo di mortalità è attorno al 5%, causato da complicanze della malnutrizione o dal suicidio. L’aspetto clinico tipico della persona con anoressia nervosa presenta:  

1. Sottopeso (con indice di massa corporea – IMC < 18,5 per gli adulti e sotto un  determinato percentile per bambini/e ed adolescenti). 

2. Paura d’ingrassare

3. Eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo. Le persone con anoressia  nervosa sembrano percepire correttamente le proprie dimensioni ma le giudicano in maniera abnorme, basando inoltre la valutazione di sé stesse su quello che attesta la  bilancia attraverso un semplice numero: un aumento ponderale è spesso segno di  frustrazione e autosvalutazione, mentre un calo di peso aumenta il senso di  autocontrollo, di fiducia personale ed autostima.  

Un’altra importante condizione da non sottovalutare è l’amenorrea, ovvero l’assenza di tre cicli mestruali consecutivi: non è sempre un sintomo di anoressia nervosa ma in una giovane donna o adolescente va sempre fatta un’ipotesi di DCA. Nella maggior parte dei casi si tratta  di amenorrea secondaria, ovvero la perdita di mestruazioni dopo un periodo più o meno  lungo di cicli regolari; in una percentuale minore si tratta di amenorrea primaria, ovvero  quando l’anoressia nervosa insorge prima dello sviluppo puberale. Negli uomini sono  presenti perdita dell’interesse sessuale e impotenza.

Bulimia nervosa, sempre più frequente al giorno d’oggi

La bulimia nervosa è un disturbo comparso per la prima volta all’inizio degli anni ’60 e dopo  l’articolo “Bulimia nervosa: un’inquietante variante dell’anoressia nervosa” del medico G. Russell furono compiuti diversi studi per valutare incidenza e prevalenza della patologia: il  disturbo colpisce l’1% delle giovani donne. La maggior parte degli studi effettuati suggerisce  che la bulimia nervosa sia più frequente oggi rispetto al passato, con un incremento vertiginoso dal 1960-1965 in poi, ma spiegazioni a questi aumenti non sono ancora state  fornite con certezza. L’età d’esordio della bulimia nervosa è, come per l’anoressia nervosa, tra i 12 e i 25 anni ma in questo caso il picco maggiore risulta esserci a 17-18 anni. Gli uomini sono colpiti raramente e non abbiamo dati che affermino che il disturbo sia in aumento nella  popolazione maschile; è un disturbo presente raramente nelle popolazioni afroamericane e molto frequente nelle popolazioni europee, ma senza distinzione di classi sociali.  

La bulimia nervosa nei casi tipici inizia con una dieta estremamente rigida e ¼ delle persone colpite soddisfa i criteri diagnostici dell’anoressia nervosa. Dopo un certo periodo, gli episodi di abbuffata interrompono la restrizione dietetica e il peso tende a rimanere nella norma o lievemente sopra o sotto la norma. Nella maggior parte dei casi gli episodi di abbuffata sono seguiti da comportamenti di compenso eliminativi, come il vomito autoindotto, l’uso improprio di lassativi e/o diuretici, comportamenti di compenso non eliminativi (es. la restrizione dietetica estrema e rigida o l’esercizio fisico eccessivo o compulsivo). Circa il 23% delle persone con bulimia nervosa ha un decorso protratto: il passaggio verso l’anoressia nervosa è raro, mentre risulta più frequente (circa il 20%) verso altri disturbi  dell’alimentazione e verso il binge eating disorder. Il tasso grezzo di mortalità varia dallo 0%  al 2%. 

Il profilo tipico della persona che soffre di bulimia nervosa non è chiaramente definito come quello della persona che soffre di anoressia nervosa; per fare diagnosi di bulimia nervosa devono essere presenti tutte e cinque le seguenti caratteristiche:  

1. Ricorrenti episodi di abbuffata. L’abbuffata, derivante dal termine inglese binge eating, si definisce sulla base di due caratteristiche che devono essere presenti:

• Il consumo di una grande quantità di cibo 
• La sensazione di perdita di controllo sull’atto di mangiare (es. sentire che non ci si  può astenere dall’abbuffata oppure che non ci si riesce a fermare una volta  iniziato a mangiare).  

L’abbuffata deve inoltre verificarsi in un tempo abbastanza lungo (es. nell’arco di 2-3 ore),  dunque il piluccare durante il giorno non può essere definito abbuffata; l’abbuffata avviene  spesso segretamente e i tipi di cibi scelti sono spesso dei “tabù” per la persona.  

2. Comportamenti di compenso, finalizzati a prevenire l’aumento di peso. Il mezzo  usato più di frequente è il vomito, che in alcuni casi viene autoindotto dopo l’assunzione di qualsiasi cibo e non solo dopo un’abbuffata. Un’altra modalità compensatoria è l’uso di lassativi per provocarsi una diarrea acquosa e più raramente vengono usati anche diuretici, digiuno prolungato per più di 24 ore, enteroclismi o farmaci tiroidei. Ci sono anche dei casi verificatisi nelle persone con diabete tipo 1  insulino-dipendenti che non vanno a non assumere insulina, terapia salvavita, dopo un’abbuffata: in tal caso si parla oggi di diabulimia, condizione ancora non  riconosciuta però come un DCA vero e proprio inserito nel DSM-V. 

3. Frequenza degli episodi di abbuffata e dei comportamenti di compenso, che deve  essere di almeno una volta a settimana per tre mesi consecutivi. Sebbene tale  definizione sia uno standard arbitrario, serve a restringere la diagnosi solo a persone  che hanno un disturbo ricorrente e persistente.  

4. Eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo. Queste persone si sentono  terrorizzate dall’idea di aumentare di peso: se questo accade si deprimono e fanno di  tutto per dimagrire.  

5. Il disturbo non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di anoressia  nervosa: ad una persona che si abbuffa e vomita ma ha un IMC < 18,5 verrà  diagnosticata anoressia nervosa, mentre in caso di IMC > 18,5 la diagnosi sarà di  bulimia nervosa. 

Binge eating disorder: uno sguardo da vicino

Il binge eating disorder (BED) è il terzo principale disturbo del comportamento alimentare descritto nel DSM-V: ha una prevalenza in persone con più di 18 anni ed è dell’1,6% tra le  femmine e dello 0,8% tra i maschi, mentre nelle persone che soffrono di obesità che  ricercano un trattamento per la perdita di peso la prevalenza è del 10%. Rispetto alla bulimia nervosa, è presente una maggiore prevalenza nel sesso maschile (circa il 25%) e in alcune minoranze etiche.

Le caratteristiche cliniche di questo disturbo ricalcano quelle della bulimia nervosa: anche qui sono spesso presenti le abbuffate ma non sono seguite da  comportamenti di compenso ed è più difficile individuarle. Le persone con BED si preoccupano molto del loro comportamento e lo giudicano un serio problema, sia per la sensazione di perdita di controllo che provano, sia per le implicazioni che gli episodi di abbuffata possono avere sul proprio peso corporeo e sulla propria salute. Oltre alla  frequenza negli uomini e all’assenza di meccanismi di compenso post abbuffata, la terza differenza rispetto alla bulimia è l’elevato tasso di remissione: dopo 4 anni è dell’80% con rara migrazione verso anoressia o bulimia. Il profilo tipico è segnato dai seguenti criteri diagnostici:  

1. Ricorrenti episodi di abbuffata, come quelli presenti nella bulimia nervosa.
2. Presenza di un marcato disagio riguardo gli episodi di abbuffata
3. Frequenza degli episodi di abbuffata, che deve essere di almeno una volta a  settimana per tre mesi consecutivi. 
4. Assenza di condotte compensatorie
5. Presenza di tre o più delle seguenti caratteristiche: mangiare molto più rapidamente del normale, mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni, mangiare grandi quantità di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati, mangiare da soli a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando, sentirsi disgustati verso sé stessi,  depressi o assai in colpa dopo l’episodio.  

Come intervenire? 

Nella cura dei disturbi dell’alimentazione sono disponibili in Italia cinque livelli d’intervento: 

1. Medico di medicina generale o pediatra di libera scelta. 

2. Terapia ambulatoriale. 

3. Terapia ambulatoriale intensiva o semiresidenziale  (diagnostica/terapeutica/riabilitativa).  

4. Riabilitazione intensiva residenziale. 

5. Ricoveri ordinari e di emergenza.

Quello dei DCA è un mondo tanto complesso quanto ancora estremamente silente e non basterebbe una moltitudine di articoli per parlarne con il giusto grado di approfondimento. Questo articolo vuole donare una conoscenza preliminare e che non permette in nessun modo di fare auto-diagnosi. È importante sapere che è possibile guarire dai disturbi del  comportamento alimentare, ma bisogna affidarsi ad un’equipe mutidiscplinare.

Dal 2018 esiste un Percorso Clinico Assistenziale dedicato proprio ai disturbi del comportamento alimentare, in recepimento delle linee guida assistenziali emanate dagli  esperti del ministero della Salute nel 2018. L’identificazione del paziente per l’accesso al percorso avviene già durante il primo momento di accoglienza: al triage in Pronto Soccorso è prevista l’attribuzione del “Codice Lilla” che rappresenta il primo filtro ed intervento per rispondere sia all’estrema disomogeneità di cura e trattamento sull’intero territorio nazionale, sia alla complessità di tali disturbi.

Il Codice Lilla – ha detto la dottoressa Silvia Della Casa, ricercatore di Endocrinologia e Dirigente Medico UOC Endocrinologia e  Diabetologia – diventa pertanto uno strumento di avvio per una presa in carico multi  specialistica complessa ed integrata: un intervento adeguato e precoce, entro il primo anno  dall’esordio della malattia è in grado di migliorare la prognosi di guarigione che può  raggiungere l’80% dei casi.”  

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Bibliografia 

Dalle Grave R. Come vincere i disturbi dell’alimentazione – Un programma basato sulla  terapia cognitivo comportamentale (Terza Edizione) 

Ministero della Salute. Linee di Indirizzo nazionali per la Riabilitazione nutrizionale nei  pazienti con disturbi dell’alimentazione 

Sito web ColoriamocidiLilla 

Sito web Policlinico Agostino Gemelli 

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